L’INTERVISTA-MATTEO BONOMI E ROBERTO PELLEGRIS, I “GEMELLI DEL GOAL”, SI RACCONTANO

 In L'INTERVISTA

Durante la loro permanenza in maglia giallorossa sono diventati ben presto gli idoli della tifoseria e lo spauracchio delle difese avversarie: uno, Roberto Pellegris, un bomber di razza che ha raggiunto l’incredibile traguardo di oltre 300 goal da professionista, mentre il suo compagno Matteo Bonomi, con i piedi raffinati di cui è dotato, ha dispensato perle di calcio davvero strabilianti. Oggi i due “gemelli del goal” si racconteranno ai nostri microfoni, attraverso la seconda intervista doppia della nostra rubrica. FORZA SCANZO!!

 

Buongiorno a entrambi. Dopo la doppia intervista dei fratelli Marchesi, bandiere degli anni Settanta-Ottanta, tocca alla coppia di attaccanti più forti transitati a Scanzo negli ultimi due-tre anni. Cosa provoca in Voi questa considerazione?

M: Innanzitutto buongiorno alla famiglia Scanzo e a tutti i lettori; essere ritenuto, insieme a Roberto, uno degli attaccanti più forti passati negli ultimi anni non può che riempirmi di orgoglio.

R: Fa molto piacere anche perché significa aver lasciato un buon ricordo dei due anni in cui ho giocato a Scanzo.

Quali sono i pregi e difetti del vostro partner d’attacco?

M: “Pelle” ha la capacità di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto e soprattutto con i tempi esatti, perciò per chi, come me, gli girava attorno era tutto molto più facile. Se dovessi trovare per forza anche un difetto dico che gli mancava un po’ di abilità nel dribbling lontano dalla porta ma sto proprio cercando il pelo nell’uovo perchè attaccanti come Roberto fanno la fortuna di chiunque.

R: Di pregi tanti, soprattutto la qualità della persona oltre che delle doti tecniche di categorie superiori (notare il plurale, che è voluto). Di difetti in due anni non ne ho trovati anche perché non nascondo, e Matteo lo sa, che uno dei motivi per cui ho scelto lo Scanzo è anche perché volevo finalmente giocare con lui.

Quando arrivaste a Scanzo? Che ambiente avete trovato?

M: Arrivai a dicembre del 2014 e mi resi subito conto, anche se in quel momento la classifica non era delle migliori, di essere arrivato in una grande famiglia con un attaccamento ai colori forse mai visto prima e uno spogliatoio che aveva solo bisogno di una scintilla per accendersi e prendere il volo.

R: Io sono arrivato l’anno in cui è stato vinto il campionato di Eccellenza (2015-2016, ndr) e subito ho capito che il grande ambiente Scanzo è fatto di persone umili ma molto competenti. E’ come stare in famiglia e i risultati poi vengono di conseguenza.

A quale momento siete più legati del vostro periodo in giallorosso?

M: Senza dubbio i momenti sono due: la vittoria dell Eccellenza e la salvezza in serie D.

R: E’ dura scegliere tra la vittoria del campionato e la salvezza dell’anno dopo perché sono considerati due momenti indimenticabili visto che nessuno (al di fuori dello Scanzo) avrebbe mai scommesso su questi traguardi. Al nostro interno eravamo consapevoli della nostra forza (l’ignoranza ahahah) e che quella forza ci avrebbe portato a raggiungere i nostri obiettivi.

Il primo anno insieme vincete il campionato di Eccellenza, all’ultima giornata con un sorpasso da film sul Villa d’Almè. Cosa ricordate di quella stagione?

M: Ricordo che la domenica si faticava ma ci si divertiva tantissimo; a tratti giocare con i miei compagni era uno spasso e forse è stato uno dei segreti per la vittoria finale.

R: La stagione è stata molto positiva, anche se non sono mancati momenti duri. La tranquillità dell’ambiente ci ha portato a non mollare (in perfetto stile Scanzo, direi) anche quando la prima in classifica era distante.

L’anno dopo, invece, salvezza, da tutti considerata irraggiungibile, in Serie D. Quali differenze ci sono tra le due categorie? Quali caratteristiche dovrebbe avere una squadra per affrontare il semi-professionismo?

M: Sicuramente c’è molta più qualità e giocatori più pronti; poi ti scontri con realtà che, nella maggior parte dei casi, hanno alle spalle storie importanti. Per affrontare la serie D serve organizzazione e persone competenti ognuna per il ruolo che ricopre, ma non per forza è necessario un budget elevato e lo Scanzo ne è la dimostrazione.

R: L’anno dopo è stato altrettanto positivo ma con molti periodi duri. La Serie D è superiore a livello fisico rispetto all’Eccellenza; ci sono uno/due allenamenti in più, tranne che a Scanzo, dove solo in determinate settimane facevamo la rifinitura il giorno prima della partita. Credo che quella squadra abbia tirato fuori il meglio da ognuno per raggiungere una salvezza pazzesca.

Quali pensiate siano i segreti che fanno dello Scanzo una realtà capace di raggiungere traguardi da sogno?

M: La passione, l’attaccamento alla maglia e la competenza di Oberti, che guida questo gioiello, e di tutti i suoi collaboratori sia in campo sia coloro che lavorano dietro le quinte.

R: Il segreto è l’ambiente. Ho sempre invidiato, quando ero un avversario, allo Scanzo la voglia e la grinta con cui scendevano in campo. E poi dal Pres. Oberti al grande Cucchi fino all’ultima persona della Società l’umiltà la fa da padrone, ma nonostante ciò c’è grande competenza.

Cosa pensate di aver lasciato ai tifosi dello Scanzo? Cosa invece vi hanno lasciato loro?

M: Penso che li abbiamo fatti divertire, soffrire e gioire…in cambio mi hanno dato un affetto impagabile!

R: Spero di aver lasciato un bel ricordo soprattutto come persona prima che come giocatore perché è sempre il mio obiettivo da quando gioco a calcio. Loro mi hanno dato tanto affetto anche quando le cose non andavano bene e magari non facevo goal e di questo li ringrazio.

Per Voi parlano i numeri: Roberto, più di 300 goal in carriera, Matteo, una carriera che ha toccato anche la Serie C e non è mai scesa sotto l’Eccellenza prima di questa stagione. Quali sono i vostri segreti per raggiungere vette così alte a livello personale?

M: Credo non esista un vero e proprio segreto ma che il tutto si possa riassumere con passione e sacrificio.

R: Gioco per divertirmi; mi piace faticare per raggiungere i traguardi che mi pongo. Il giorno in cui non avrò più quest’entusiasmo smetterò all’istante. Lo sa benissimo mia moglie Barbara che sopporta, con i miei due figli Nicole e David, le mie lune in caso di sconfitte o gol sbagliati.

Prima dello Scanzo, dove siete cresciuti come giocatori? Avete sempre fatto i ruoli che occupate ora o qualcuno ha avuto un’intuizione felice?

M: Ormai sono più di vent’anni che gioco in Prima Squadra ma mi piace sempre ricordare che sono partito dall’Oratorio di Albino quando avevo 6 anni, passando poi per Albinese, Atalanta e Alzano Virescit, dove ho iniziato con la Prima Squadra disputando 9 campionati di C e 11 tra i Dilettanti, ma ancora oggi gioco con lo stesso entusiasmo di 32 anni fa e come allora gioco sempre in fascia o come attaccante.

R: Ho sempre fatto l’attaccante anche perché senza gol è dura vivere! Sono cresciuto nel Grassobbio e nella Stezzanese; poi anni di settore giovanile all’Albinoleffe, culminati con un campionato di Serie C1 e l’anno di Primavera alla Juventus.

Quali consigli dareste ai giovani che oggi si affacciano a categorie che non ti aspettano, come la Serie D o l’Eccellenza?

M: Di essere il più umili possibili e ascoltare chi ha qualche anno in più. Doti che purtroppo oggi esistono solo in casi rarissimi.

R: Ai giovani consiglio di avere la voglia e la passione che a 35 anni ho ancora e di cercare di migliorarsi ogni giorno.

Quali iniziative potrebbero migliorare il calcio dilettantistico dal punto di vista regolamentare o strutturale?

M: Credo che ogni anno chi sta ai vertici provi a far qualcosa, ma sono fossilizzati sugli obblighi e non sui meriti.

R: Secondo me dovrebbero trovare un equilibrio con la regola dei giovani. E’ assurdo che buonissimi giocatori debbano scendere di categoria solo perché senza regola non avrebbero le stesse opportunità di prima.

Ci raccontate qualche aneddoto, positivo o negativo, della vostra carriera?

M: Ce ne sarebbero tantissimi, ma ricordo con piacere quello che potrebbe passare come un episodio non molto bello, ovvero una tirata di orecchie (nel vero senso della parola) di un mio compagno ai miei esordi per aver “deriso” con un tunnel un compagno più vecchio di me in allenamento. Potrebbe sembrare un’esagerazione ma credo che certe cose oggi, dove tutto è dovuto, farebbero molto bene.

R: Nel Gennaio 2001 ho fatto un torneo con l’Italia Under 20 di Serie C in Iran contro le nazionali maggiori di Iran (di Ali Daei e Mahdavikia), Cina (allenata dal giramondo Bora Milutinovic) e l’Egitto. Mister Boninsegna (esatto proprio “Bonimba”) si era innamorato di me calcisticamente e mi ha fatto giocare davanti a 35.000 spettatori facendomi pure tirare un rigore nella lotteria finale…purtroppo l’ho sbagliato!

Concludiamo con la vostra top 11 personale. Svestite i panni del calciatore, per mettervi in panchina e crearvi la vostra squadra dei sogni; chi chiamereste?

M: Una top 11 è davvero difficile da fare con tutti i compagni e tutti i calciatori che ho ammirato e ammiro tuttora, quindi dico tutti i componenti della squadra con cui abbiamo vinto l’Eccellenza che faranno sempre parte dei miei ricordi più belli.

R: Puba Regazzoni in porta, Corno, Rota, Carlo Marchesi, Alessandro Locatelli dietro. In mezzo Capitan Agostinelli, Stroppa. Bonomi dietro a me e Pesenti Giorgio.

 

Ringraziamo sia Matteo che Roberto per essersi prestati alla nostra doppia intervista; speriamo che il loro esempio possa servire ai giovani che giocano nello Scanzo e non ed è proprio a loro che volevamo rivolgerci attraverso questi due grandi giocatori, perchè dai giovani parta il rinnovamento del nostro panorama calcistico.

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