L’INTERVISTA-FRANCO GIUGNETTI, DIRETTORE TECNICO, SI RACCONTA…
Nell’antica Roma il termine cursus honorum indicava il percorso che un aspirante politico doveva compiere prima di diventare senatore, massima carica statale dell’Urbe. Nel piccolo della nostra società ad una persona è accaduta la stessa cosa; il suo nome è Franco Giugnetti, attuale direttore tecnico dello Scanzo, ma prima giocatore del vivaio, poi della Prima Squadra, allenatore delle giovanili, allenatore dei grandi, direttore sportivo ed infine direttore tecnico. Oggi si è concesso ai nostri microfoni e questo è quanto ne è emerso.
Buongiorno Franco. Lei è in società con la carica di direttore tecnico; quali sono le mansioni di tale figura? Quali sono i pro e i contro di un ruolo del genere?
La carica prevede un insieme di vari compiti: creare lo staff tecnico e la rosa di giocatori per Prima Squadra e Juniores Nazionale, insieme al Presidente e al direttore sportivo, e seguirne la crescita durante il prosieguo della stagione, andando a vedere gli allenamenti sul campo e le partite nel weekend e vivendone dall’interno il clima che si respira nello spogliatoio. Da gennaio in avanti, poi, soprattutto per le annate dei giovani che faranno la regola nella stagione successiva, il mio compito è valutare gli Allievi in vista del prossimo anno, nonché seguire i giovani segnalati nelle altre realtà. Per quanto riguarda lati positivi e negativi, posso dire che per qualunque cosa serva il mio contributo ciò ha conseguenze buone e meno buone, che creano una situazione sempre un po’ a metà tra pro e contro.
Come reputa la stagione finora condotta dallo Scanzo a livello di Serie D?
Se mi avessero posto questa domanda tre settimane fa avrei risposto “ottimale”, mentre dopo le ultime tre sconfitte consecutive la mia opinione è completamente cambiata, risultando inferiore alle mie aspettative.
Lei ha ricoperto praticamente tutti i ruoli dal giocatore al dirigente in questa società. Cosa significa per Lei il mondo Scanzo? Quali miglioramenti sarebbero ancora da fare a livello societario?
Il mondo Scanzo, in una giornata di 24 ore, si prende una grossa fetta del mio tempo libero: 6 ore per dormire, 10 ore di lavoro (compresi trasporti e pause) e il 50% delle restanti le passo sul campo. Per quanto riguarda i miglioramenti societari è da anni che auspico uno svecchiamento dirigenziale, me compreso ovviamente, che sgravi della maggior parte dei compiti i dirigenti over 50, portando con sé una ventata di aria nuova, tipica delle giovani generazioni, le quali spero portino avanti lo Scanzo sempre con i valori e la continuità che ci contraddistinguono.
Lei è legato da un’amicizia di vecchia data con il Presidente Oberti. Quali sono le differenze e quali le similitudini nel modo di vedere e interpretare il calcio tra voi due?
Nonostante la passione per il calcio sia tantissima per entrambi lo viviamo in una maniera completamente diversa: lui passa notti insonni sia nella vittoria che nella sconfitta, mentre io arrivo alla partita sereno e bello riposato e non perdo molto tempo né nell’esaltarmi quando vinco, né nell’arrabbiarmi perché perdo. Inoltre per lui i suoi giocatori diventano tutti come dei “figliocci”, al contrario del mio ruolo che mi impone un atteggiamento più distaccato.
Lei incomincia come giocatore nelle giovanili giallorosse non appena fondata la società, fino ad arrivare in Prima Squadra. Che ambiente era e che tipo di calcio era quello degli anni ’70-’80?
A pensarci adesso era un periodo di pionieri nel mondo del calcio provinciale, tanto che molte squadre dei vari paesi furono create negli anni Settanta. Ricordo che c’erano due o tre categorie di Giovanili in aggiunta alla Prima Squadra e quindi io, che sono del 1961, giocavo con gente di quattro anni più grande…altro che categorie monoannate come ora!
Il suo ruolo era quello di attaccante, tanto che risulta essere uno dei giocatori più prolifici nella storia dello Scanzo. Quali erano i Suoi trucchi per segnare così tante reti?
Tengo a precisare che avendone segnati tanti nelle giovanili e avendo giocato solo allo Scanzo (tranne un anno a fine carriera a Gavarno) questo mi aiuta molto in questa classifica. Nonostante un fisico non propriamente da atleta, sopperivo a questo deficit con tanta testardaggine e caparbietà; per fortuna la Natura mi ha donato due bei piedi e un intuito che mi permetteva di anticipare le intenzioni degli avversari.
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, incominciò la carriera in panchina. Come fu passare dal campo alla panchina in un tempo così breve?
Il passaggio fu obbligato, per via di un infortunio alla caviglia che mi perseguitava dai tempi del militare (20 anni, ndr) e durò per il resto della carriera; per fortuna in quegli anni mi dividevo tra campo e panchina, aiutando qualche allenatore delle giovanili…un ottimo indizio per capire che fare l’allenatore mi piaceva.
Quali sono le caratteristiche che una squadra dovrebbe avere per essere vincente? A quale allenatore si ispira?
Nonostante l’evolversi del calcio, penso che una squadra vincente debba avere sempre queste componenti: una buona rosa, un mix tra giocatori che ti possano risolvere la partita in un istante e compagni che si sacrifichino per esaltare le qualità dei singoli ed infine che ognuno sappia stare al proprio posto. Nei miei anni migliori da allenatore (a cavallo del nuovo millennio) mi sono ispirato a due figure, cercando di carpire insegnamenti sia dall’uno che dall’altro, ovvero Giovanni Vavassori e Serse Cosmi. Il primo perché faceva giocare le sue squadre divinamente, mentre il secondo aveva e dava una carica pazzesca ai suoi giocatori.
Lei ha allenato sia Prime Squadre che Giovanili. Quali differenze di metodo di allenamento vi sono tra vivaio e calcio dei grandi?
Avendo sempre allenato prettamente Prime Squadre ed essendo le mie esperienze nelle giovanili limitate alle categorie più vicine al “mondo dei grandi” ho sempre mantenuto un metodo da Prima Squadra, a parte nei carichi di lavoro. L’unica differenza riguarda il rapporto col giocatore che nelle giovanili, essendo minorenne, vede ancora la presenza del genitore nell’informarsi riguardo certi aspetti che invece dovrebbero essere affrontati tra allenatore e ragazzo.
Quali sono i ricordi più belli nel periodo da allenatore?
Del mio periodo sulle panchine bergamasche conservo molti ricordi di cui vado orgoglioso, tra cui cito la vittoria con l’Under 18 e l’Under 21 giallorosse, le tre vittorie con la selezione bergamasca nel torneo delle Province e con i ragazzi del 1984-85 la conquista, per la prima volta, del pass per il campionato Allievi Eccellenza, che, viste le categorie a cui partecipano oggi i nostri giocatori, sembra quasi scontato per la nostra società, ma allora non lo era, credetemi!
L’annata 2002-03 resta indimenticabile, con la vittoria di Play-off e Coppa Lombardia di Prima Categoria. Ci racconta le Sue sensazioni in quel momento?
Mi ricordo quando il presidente Oberti mi diede l’incarico di allenatore della Prima Squadra; venivo da tre esperienze fuori dalla società: Oratorio Selvino, periodo a cui sono ancora molto legato, Gavarnese e Carobbio, quindi ero considerato un po’ una scommessa come allenatore, sostituendo un vero maestro come Adriano Tassis. Il presidente mi disse che mi aveva consegnato una Ferrari e quindi di non farla andare come una 500 (quelle vecchie, si intende). Arrivammo secondi per una partita storta nello scontro diretto contro la Cividatese, con tanto di rigore sbagliato, e vincemmo i play-off contro Valcalepio e Pontoglio, venendo per la prima volta promossi in Promozione. Ciliegina sulla torta fu la finale di Coppa Lombardia vinta ai rigori contro l’Inveruno, grazie a un Caglioni sugli scudi che parò tre rigori, partita che affrontammo con una lista lunghissima di assenze. Ricordo con molto piacere la felicità dei dirigenti più anziani, su tutti il presidentissimo Gianmarco Cucchi.
Ha qualche aneddoto spassoso da raccontarci della Sua carriera?
Ne ho tre pronti pronti da sfornare, diversi l’uno dall’altro. Il primo una trasferta a Seriate in bicicletta all’età di 10 anni, presentandoci con metà maglie a strisce verticali bianche-verdi e metà giallo-verdi…menomale che c’era la nebbia che camuffò l’errore!
Il secondo riguarda un siparietto familiare, perché, dopo aver giocato al “Cibali” di Nembro sotto un nubifragio con tanto di campo simile a una palude, al ritorno a casa mia madre mi chiese chi fossero quei “deficienti” che giocavano sotto il ponte di Nembro da lei appena percorso in auto e io dovetti risponderle che i deficienti eravamo noi e che le avevo portato in dote gli indumenti lerci da lavare (ride, ndr).
Infine sono ancora divertito nel raccontare che, durante la semifinale di ritorno di Coppa Lombardia, essendo il Fontanella in netto vantaggio nel doppio confronto, il loro capitano cominciò a chiedere ai compagni di prestare attenzione alle ammonizioni per non saltare la finale. Dopo la nostra vittoria per 5-2, che voleva dire finale, un nostro giocatore, Ghilardi detto “Brigel”, gli disse che alla finale ci sarebbe venuto solo come parcheggiatore fuori dallo stadio.
Che ricordi o impressioni pensa di aver lasciato a chi L’ha potuta conoscere nel Suo periodo giallorosso?
Per chi mi ha conosciuto bene, con tutti i pregi e i difetti che posso avere, penso di essere stato sempre me stesso: schietto, deciso, magari anche con poca sensibilità, ma sempre sincero. A chi mi ha conosciuto poco, proprio per questo motivo, non mi interessa sapere le impressioni che gli ho lasciato, sia che esse fossero positive o negative.
Da dirigente ci può dare una Sua idea di come il calcio italiano debba essere rifondato dopo la debacle con la Svezia?
Il calcio italiano purtroppo è troppo permeato di politica o di metodi che la ricordano molto da vicino; pochi vogliono mollare la poltrona che gli è stata data più per nomina che per meriti effettivi. Non penso, però, che ci sia da dare in mano la FIGC ad un ex calciatore; preferirei un manager o forse meglio ancora qualcuno che sia stato una figura importante a livello dirigenziale in qualche società di club.
Concludiamo con la Sua “formazione dei sogni”. Su quale undici iniziale farebbe affidamento per le partite importanti?
Avendo militato nello Scanzo dagli anni Settanta ne ho visti di giocatori passare; qualcuno mi ha entusiasmato e lo ricordo con molto piacere, qualcun altro fatico a ricordarlo, ovviamente sempre sotto l’aspetto calcistico e non umano. Ma il mio dream team rimane quello in cui io ero un calciatore, per la precisione la squadra con ragazzi degli anni 1961, 1962, 1963 che vinse il campionato Allievi 1977-78, con allenatore il compianto Angelo Richini, il quale con una rosa di 13 elementi portò il primo titolo di categoria nel palmares giallorosso.
La rosa era composta da (in ordine dall’angolo alto sx): Gregis (allenatore in seconda), Campanello, Pecoraro, Magri, Lecchi, Artina, Rota, A.Richini (allenatore), Giugnetti, Acerbis, Cuminetti, Salvi, Fioretti, Pelliccioli, Malvestiti (assente in foto).
L’intervista termina qui e non possiamo che ringraziare il dt Giugnetti per aver chiarito il suo ruolo, il quale non sempre è compreso da tutti, e per averci regalato delle storie che sicuramente porteranno alla luce dolci ricordi in molti cuori giallorossi e anche qualche risata ripensando a quegli anni.